Il prezzo nascosto del taglio del canone

La CORSI, che rappresenta il pubblico della RSI, ha promosso un incontro pubblico per riflettere sulle conseguenze dell’iniziativa «200 franchi bastano!», per approfondire e capire gli effetti finali che vanno ben oltre un semplice sì o no nelle urne perché si tratta di definire quale servizio pubblico vogliamo per la Svizzera. Al tavolo degli oratori anche il consigliere nazionale Alex Farinelli che ha messo in guardia su una votazione che non chiede se a piacerci siano «tutte le trasmissioni della RSI. Dobbiamo pensare che è in gioco l’italianità, la coesione del Paese, un’informazione corretta. E, soprattutto, è in gioco il rispetto della minoranza linguistica della Svizzera italiana. È per questo che dobbiamo batterci».

Alex Farinelli. La SSR sta già affrontando una profonda riorganizzazione con risparmi che rispondono alla riduzione graduale del canone a 300 franchi decisa dal Consiglio federale. Intervenire sui costi è dunque possibile?
È chiaro che c'è sempre un margine, dipende però da quello che si vuole fare. Si può rinunciare a qualcosa ma bisogna capire fino a che punto è possibile farlo senza intaccare quelli che sono i compiti centrali della SSR. Il Consiglio federale ha dovuto fare quello che fanno i governi e i parlamenti di fronte a delle iniziative estreme che hanno delle possibilità di riuscita. Bisogna esserne consapevoli, non banalizzare gli importi e guardare questa iniziativa per quello che è: una seconda puntata della «No Billag». La domanda che dovremmo porci tutti è perché, così sapremo anche per cosa combattiamo oggi.

Cosa si nasconde dietro questa iniziativa?
È la lotta per l’influenza nel sistema mediatico. Non è un caso che dal 2010 al 2019 il signor Blocher ha comprato la Basler Zeitung, 24 settimanali e 30 giornali gratuiti. La «No Billag», bocciata dal popolo, sarebbe stata il coronamento di questa strategia: prima acquisire dei mezzi di informazione e poi distruggere l'antagonista, vale a dire entrare in possesso della chiave di successo di un sistema democratico, a maggior ragione in una democrazia diretta, ossia il controllo dei media. L’iniziativa «200 franchi bastano!» è il proseguimento di questa strategia. I fautori si sono resi conto che la popolazione non rinuncia a nulla, ma un grande ridimensionamento aprirebbe di fatto lo spazio a un’informazione più facilmente condizionabile.

Ci sono anche dei liberali che sostengono l’iniziativa...
C'è anche chi lo fa per pura impostazione ideologica ritenendo che ovunque debba regnare il libero mercato. Personalmente, da liberale, non ritengo che debba essere sempre così, in particolare in questo ambito.

Oggi si assiste a una frammentazione delle tipologie d'ascolto, multicanalità, digitale, piattaforme, social media... La televisione generalista ha ancora una sua ragion d’essere?
Il paradigma della televisione lineare è che deve confrontarsi con un pubblico che cambia, che ha modalità diverse di usufruire dell'informazione. In realtà tutti noi abbiamo bisogno dell'informazione ed è su questo che ci si deve concentrare, non tanto sul mezzo o su come gestire i differenti target. La Svizzera ha bisogno di qualcuno capace di garantire un'informazione di qualità, in quattro lingue in tutte le regioni del Paese? Credo proprio di sì. E la SSR di fatto è insostituibile, semplicemente perché in Svizzera non c'è nessun altro attore che ha le dimensioni, la forza e le capacità per sostituirsi ad essa. Le reti estere non lo faranno perché non hanno nessun interesse a farlo.

La SSR racconta di fatto la Svizzera a sé stessa, lo ha ricordato anche lei. È questo che dobbiamo difendere?
Con «No Billag» la domanda era semplice: volete il servizio pubblico? La maggioranza ha detto di volerlo. L’iniziativa «200 franchi bastano!» è più maliziosa. Chiede: ne volete un pezzo? È questa la grossa insidia perché ognuno nella propria testa si immaginerà che con quei 200 franchi avrà ciò che interessa a lui. La realtà è che quei 200 franchi non basteranno per nessuno. Dobbiamo essere in grado di capirne il reale impatto, avere la consapevolezza di cosa si perde e non dare nulla per scontato, la pandemia ce lo insegna. Se la RSI fosse dimensionata a soffrire sarebbero tante altre realtà che magari il cittadino apprezza ma che non sa che sono legate alla RSI e quindi alla SSR. Non è una sorta di referendum se ci piacciano o no tutte le trasmissioni della RSI. In gioco c’è il futuro di un servizio pubblico capace di offrire contenuti svizzeri credibili e riconoscibili, un’informazione corretta e regionale. E soprattutto, è in gioco l’italianità, il rispetto della minoranza linguistica della Svizzera italiana. È per questo che dobbiamo batterci.